Barra di navigazione

9. Margherita e Andrea


    Di ascoltare in auto la stessa musica che ascoltava in negozio Margherita non aveva voglia. Aveva provato a portare in negozio qualcuno dei suoi cantautori su una chiavetta del pc, per la quale l’aveva aiutata Andrea, ma non aveva funzionato: i clienti facevano strane facce ascoltando De André o De Gregori, senza contare che, mentre lavorava, non riusciva a dedicare alle canzoni la giusta attenzione, come le sarebbe piaciuto. Alla fine aveva rinunciato e nelle casse era tornata la solita radio a trasmettere le solite canzoni intervallate dalle pubblicità.

    Continuò a scorrere le stazioni trasalendo e facendo smorfie di disgusto ogni volta che le arrivavano le note di qualche hit estiva che minacciava di invadere anche l’autunno. Demoralizzata spulciò i quattro cd inzeppati nella tasca laterale senza trovare nulla di interessante o che non avesse già ascoltato milioni di volte, si ripromise di rinnovare presto la sua discografia e infine si fermò ad ascoltare rassegnata due voci che raccontavano una ricetta per le patate al forno. 

    Le prime volte che era andata a riprendere Andrea a scuola erano state traumatiche. Doppia fila, vigili che fischiavano e che l’invitavano ad allontanarsi, ragazzi che urlavano e correvano ovunque, motorini che le sfrecciavano accanto. Era stato Andrea a dirle di non arrivare fino a lì davanti, e le aveva indicato una stradina piuttosto tranquilla non molto lontano. Per qualunque ragione lo avesse fatto si era rivelata un’ottima soluzione. 

    Andrea arrivava sempre da solo, non lo aveva mai visto in compagnia di un amico. Sbucava da dietro l’angolo col suo passo lungo, la testa che sondava lo spazio, a localizzarla, gli auricolari e la loro musica a tutto volume che lo proteggevano dal mondo esterno, come una coperta dal freddo. Lei cercava di indovinare dalla sua espressione che tipo di mattinata fosse stata, ma ogni volta doveva domandarglielo per capirlo. 

    “Com’è andata?”

    “Tutto bene”

    “Che hai fatto a scuola?”

    “niente.”    

    “…”

    “te invece? Tutto bene a lavoro?”

    “Al solito”

    Più o meno questa conversazione, per così dire, essenziale si ripeteva ogni volta. Margherita si faceva bastare il tono e l’inflessione della voce per indovinare quale universo ci fosse dietro. Quella sembrava una giornata di quelle buone. 

    “Ho preso sette a Storia” 

    Indovinato, pensò con un sorriso, gli fece qualche complimento sincero. 

    Il centro commerciale era la loro abituale meta, un nuovo paio di scarpe da ginnastica per Andrea l’obiettivo. 

    “Hai già idea di come le vuoi?” gli chiese lei, ben sapendo che le avrebbe prese nere, esattamente come quelle che aveva ora, un numero più grande.

    “Come?”

    Al solito non ascoltava, preso dalle note di qualche brano che gli riempiva le orecchie, fuori non arrivava che un ronzio sottomesso. Lo indovinavi soltanto, il frastuono. Aveva fatto la domanda togliendosi uno dei due auricolari, lei sorrise e scosse un po’ la testa, come a dire che non aveva detto nulla di rilevante. L’auricolare tornò al suo posto.

    Trascorsero due ore tranquille. Un panino al fast food, con patatine fritte ed una Coca annacquata per lui ed un’insalata per lei, mangiata con lui che la guardava alzando gli occhi al cielo per la scelta discutibile. E quindi le scarpe, identiche a quelle che indossava, un numero più grande. 

    Al ritorno c’era un’aria diversa, distesa, quasi complice. Margherita guidava piano, arrotolandosi una ciocca di capelli intorno ad un dito, Andrea aveva tolto gli auricolari, soddisfatto della giornata. Le parlava con una dolcezza che ogni tanto, in queste occasioni, si manifestava. 

    “Sei stata bene ieri sera?” Le aveva domandato.

    La cena con il nuovo amico. Aveva risposto con un vago sì, un po’ in imbarazzo, attenta a quanto potesse dire, parlando con suo figlio, riguardo ad un argomento come quello. Lui aveva continuato:

    “Lo rivedi?”

    “Domenica. Anzi, scusami se devi stare solo, se vuoi puoi andare da zia Rossella”

    “No, tranquilla, preferisco stare a casa, lo sai.”

    Dopo qualche secondo di silenzio lui riprese:

    “Vabbè, non mi racconti niente di questo Gianni?”

    In quei momenti le sembrava quasi un fratello maggiore, o un vecchio amico. Poi immancabilmente si sarebbe richiuso nel suo universo impenetrabile e guai a fare tu domande. Le piaceva vederlo così, sapeva che questa era la maniera in cui mostrava la sua, seppur momentanea, serenità, così decise di concedergli qualcosa.

    “È carino”, cominciò, “anche simpatico devo dire”

    “Anche intelligente? Perché non sempre i simpatici sono anche intelligenti”

    “Che vuoi dire?”

    “Come si chiamava quello con cui sei uscita per un po’, prima dell’estate...”

    “Roberto?”

    “Roberto! Lui era simpatico ma era anche un cretino.”

    Lapidario, nei suoi giudizi. Ma in fondo sapeva che aveva ragione. 

    “No, questo sembrerebbe anche intelligente. Forse parla un po’ troppo di sé stesso.”

    “Cioè?”

    “Ma… Sono stato di qua sono stato di là. Ho fatto questo, ho fatto quello.” 

    “Ho capito, un cretino pure questo.”

      Lei rise, suo malgrado.

    “Ma non è un cretino. Come fai a dirlo se non lo hai neanche visto”

    “Se mi dici così: è un cretino”

    Lapidario, appunto.

    “Mamma, non sei costretta”

    Margherita distolse per un attimo lo sguardo dalla strada per scrutarne l’espressione, era serio. 

    “A fare cosa?” 

    “A trovare per forza qualcuno.”

    Rimase qualche istante in silenzio, a pesare quelle parole. Era la prima volta che affrontavano apertamente quell’argomento.

    “Non devo trovare qualcuno, mi piace soltanto uscire ogni tanto.”

    “Quello va bene, però secondo me devi imparare un po’ a stare sola. Io sono un esperto in questo, se non te ne fossi accorta”

    “Ma che dici. Sono sola da una vita non…” 

    “Ti sento che parli con papà, tutte le mattine” La interruppe lui. 

    Sentì un crampo allo stomaco e il cuore accelerare. Non aveva mai pensato al fatto che lui, ormai adulto, l’ascoltasse. Negare non sarebbe servito, sapeva di dover dire qualcosa, di doversi giustificare in qualche modo.

    “Ma che c’entra quello, è un modo innocente per ricordare papà. Un’abitudine scema” 

    Non sapeva come andare avanti. Per fortuna lui non aveva insistito. Non era improbabile ne avesse percepito l’imbarazzo e non volesse metterla in difficoltà.

    Passò qualche minuto durante il quale lei sembrò essere particolarmente interessata ad un’auto che le stava troppo appiccicata dietro, mentre lui sembrava cercare il modo più naturale per rimettere i suoi auricolari. Poi la macchina li superò e lei prese a fargli qualche domanda sulla scuola.

    Andrea le parlava della sua interrogazione, sempre attento a non scendere in particolari che lo riguardassero troppo da vicino, lei ascoltava. Ad un piano più in basso i suoi pensieri continuavano a rimanere sul precedente argomento. Le bruciava soprattutto quell’accusa di non saper stare da sola. 

    Andrea la vide impallidire un po’

    “Tutto bene, ma’?”

    “Sì,” mentì. 

    In realtà si era spaventata scoprendo che il suo primo impulso era stato quello di pensare a sé stessa quella sera, chiusa nella sua camera, a raccontare tutto al suo Daniele. 

    Prese un respiro più lungo e sporse un po’ la testa dal finestrino per riprendersi. 

    “Quell’insalata doveva essere un po’ troppo pesante”, disse accompagnando la debole battuta con un sorriso appena accennato. Servì comunque allo scopo e l’attenzione tornò ad Andrea, alla strada, e al camion davanti a loro che li aveva rallentati appena erano cominciati i tornanti che salivano fino a Borgovecchio. 

    Finalmente le prime case del paese comparvero alla loro destra, quindi svoltarono sulla via principale e dopo un paio di minuti arrivarono all’incrocio e alla piazzetta. Le venne in mente quello che aveva immaginato di dirgli mentre lo aspettava ma che poi aveva dimenticato.

    “Ah! Oggi Amr è andato a prendere suo cugino alla stazione. Ha la tua stessa età, abbiamo detto che una sera di queste ci mangiamo una pizza insieme e te lo presenta.”

    Lo disse con un entusiasmo sincero, girandosi a guardarlo con la speranza di carpire la sua prima impressione. 

    “Va bene”, concesse lui, di nuovo impenetrabile.

    C’era ben poco da carpire e da capire: era tornato nel suo mondo a chiusura stagna. Si sorprese ad osservare quelle labbra, grandi e screpolate, che somigliavano così tanto alle sue. L’incontro ravvicinato poteva dirsi ormai concluso e lei ne era uscita, come spesso accadeva, un po’ provata. Non le importava cosa lui avesse pensato e non le importava capire se fosse davvero un po’ pazza. Doveva raccontare tutto a Daniele. In fondo non doveva smettere di parlare per forza con lui. 

    Sarebbe bastato abbassare un po’ la voce. 


Nessun commento:

Posta un commento

Nona puntata

     La nona puntata è arrivata. Continuiamo a studiare a leggere e a scrivere. Stephen King ha scritto da qualche parte che se scrivi un...