Amr Abdel Sayed camminava tra la folla che riempiva la galleria della stazione. Il treno sarebbe arrivato a breve, aveva già fatto avanti e indietro un paio di volte osservando le vetrine dei negozi. La stazione somigliava più ad un centro commerciale, non fosse stato per il grosso tabellone che annunciava gli arrivi e le partenze.
Quando vide che mancavano pochi minuti, Amr si avvicinò al
binario indicato. Avrebbe riconosciuto Hami, era identico a suo padre, Hesham, quando
aveva la sua età. Gli venne in mente una vecchia foto che aveva portato con sé
quando aveva lasciato l’Egitto. I primi tempi la guardava spesso, c’erano lui e
suo cugino, abbracciati, coperti di fango, che sorridevano dopo una partita di
calcio, poi la foto era andata persa, rimasta in qualche cassetto di chissà
quale città. Ne aveva cambiate molte da quando era arrivato in Italia.
Hami era arrivato in aereo a Milano e da lì aveva preso il
treno per Roma. Amr si era occupato di tutti i documenti necessari per fargli
avere il visto di ingresso per turismo. Non sapeva ancora quali fossero le sue
intenzioni, né il vero motivo del suo viaggio, ma gli era difficile credere ad
un semplice viaggio di piacere.
Nell’attesa, cercava di immaginare come sarebbe stato quel
ragazzo. Cocciuto come suo padre? Quanto avevano litigato sul partire o no, sul
loro futuro e su quale terra il loro futuro sarebbe dovuto arrivare! Amr, con
il tempo, aveva capito che non c’era mai stata una ragione ed un torto, nella
vita si fanno delle scelte e tutte le scelte sono giuste, vista l’inutilità
assoluta di recriminare sul passato. Lo aveva fatto, un tempo, quando era
ancora giovane. Quando si era trovato in grandi difficoltà, quando non aveva avuto
nemmeno un posto per dormire, o quando la fame era diventata così
insopportabile da costringerlo a chiedere aiuto. Tante volte si era domandato
se avesse fatto o meno la scelta giusta, se non avesse fatto meglio a restare,
come diceva Hesham. Tutte le volte ne era venuto fuori soltanto quando aveva
smesso di farsi quelle domande e si era concentrato sul da farsi. “Non perdere
tempo a cercare le cause o a recriminare, trova la soluzione”, si diceva nella sua
testa
Il treno entrò in stazione e lentamente si fermò. Un fiume di
passeggeri si riversò sulla banchina e cominciò a scorrere verso di lui. Il rumore
delle centinaia di ruote delle valige trascinate sul cemento ricordava il rombo
di un tuono che cresceva man a mano che il fiume si avvicinava. Amr smise di pensare
al passato e cercò di concentrarsi, spostava la testa da un viso all’altro
temendo di perdere quello giusto, o di non riconoscerlo. Il fiume si riversava
nella galleria e si perdeva nel mare di folla, ogni tanto qualcuno ne usciva
fuori aggrappandosi ad un abbraccio. Allora quel qualcuno riacquistava un viso,
poi, dopo un bacio e un sorriso, si allontanava e annegava di nuovo in quel
mare.
“Zio Amr?”
Era lì, una borsa nella mano destra e uno zaino sulle spalle.
Come aveva temuto non lo aveva visto ma per fortuna il ragazzo aveva visto lui.
Amr si avvicinò, incredulo, lo fissava.
“Sono Hami, il figlio di…”
Non riuscì a finire la frase, Amr lo strinse a sé, chiuse
gli occhi e sussurrò:
“Hesham”.
Era Hesham che stava abbracciando, tanta era la somiglianza.
Un Hesham ancora ventenne, così come lo aveva lasciato tanti anni prima, come
se il tempo non fosse mai passato.
Fu un istante, poi Amr si riprese e si offrì di portare la
borsa del ragazzo, Hami disse che non ce n’era bisogno allora gli disse di
seguirlo ed anche loro si riversarono nel mare di folla della galleria.
La vecchia auto era parcheggiata in una stradina distante
dalla stazione, sotto una fila di alberi le cui radici gonfiavano e spaccavano l’asfalto.
Un’altra auto, ferma in doppia fila, ne impediva l’uscita ma appena Amr sollevò
il portellone posteriore un signore corpulento si avvicinò.
“Me sposto subito, capo”
Amr fece un gesto con la mano per ringraziare, Hami posò la
borsa nel portabagagli poi salirono in auto.
“A Roma se qualcuno ti blocca lo devi ringraziare se arriva
e ti fa uscire subito, perché può succedere pure che torni dopo un’ora o due”.
Stava parlando in arabo. Il ragazzo lo guardava per capire quanto fosse serio, poi
domandò, in italiano:
“Che significa: ‘capo’?”
“A Roma tutti sono ‘capo’, pure a me che sono un poverascio,
a Roma mi chiamano “capo”. Si tu non conosci il nome di qualcuno poi chiamarlo
‘Ahoooo!’ oppure ‘moro!”, ma si vuoi essere sgentile: capo.”
Hami sorrise e ringraziò per la lezione, pur non cogliendone
tutti gli aspetti divertenti aveva colto il tono ironico di Amr.
“Parli bene l’italiano, meglio di me, che non sce vuole
tanto eh!”
“L’ho studiato a scuola, ho sempre sognato di…” Lasciò la
frase a metà, pensieroso.
Amr, lo sguardo fisso sulla strada, intravide soltanto il
suo viso che si rifletteva sul finestrino, aveva capito che non era il momento di
chiedere. Ce ne sarebbe stata occasione. Rimasero in silenzio per un po’, Hami
guardava, fuori, la città.
“Ti piasce eh? Allora ti faccio vedere un po’, poi sci
ritorniamo con calma”
Sfidando il traffico prese la direzione del centro, senza
una meta precisa.
Amr domandava notizie sulla famiglia, su Hesham e su
chiunque ancora ricordasse. Hami rispondeva in poche frasi, non dava certo
l’idea di essere un tipo loquace. Parlavano per lo più in italiano ed Amr solo
poche volte aveva dovuto spiegare il significato di alcuni termini con la sua
lingua un po’ sgrammaticata e infarcita di dialetti.
“Mi sembra di capire che non vada tanto male la vita per te
in Esgitto! Hesham ha un buon lavoro, tu hai studiato, come mai hai
desciso di venire qui?” Aveva deciso di affrontare l’argomento in modo diretto
visto che non sembrava si potesse cavare molto dai silenzi di Hami.
“Voglio visitare l’Italia, cosa c’è di strano? Un egiziano
non può essere un semplice turista?” Aveva il tono spazientito di chi avesse
dovuto ripetere questa cosa decine di volte. Poi si rese conto di aver risposto
in maniera brusca e si corresse.
“Scusami zio Amr, anche mio padre me lo ha chiesto mille
volte.”
“No, hai rasgione. Meglio così, noi vecchi siamo
pieni di presgiudizi.” Decise di non insistere e rimasero per un po’ in
silenzio.
Intanto il tempo era trascorso, le vie del centro avevano
lasciato il posto ad anonime strade di periferia, ed infine la periferia
divenne campagna. Avevano lasciato la
città diretti a Borgovecchio.
Fu Hami a parlare per primo, stavolta.
“Zio Amr, devo visitare Bologna. Dovrei avere abbastanza
soldi ma io vorrei anche partecipare alle spese per questi giorni e devo
regolarmi per capire quanto tempo potrò restare.”
Amr lo guardò severo. Poi gli disse
“Hami, non devi partescipare proprio a niente, penso
io al mansgiare e a tutto e se mi ridisci un’altra volta mi offendi. E questo è
primo punto.”
Hami accennò una timida protesta, ma non riuscì a dire una
parola, Amr lo zittì con un gesto della mano, poi proseguì:
“Il secondo punto è che Bologna è una bellissima città, ma
anche Firenze non è brutta. Allora si tu sei semplisce turista puoi andare a
Firenze. Oppure ti sei scordato di dirmi qualcosa. Ma si non vuoi dire, non scè
problema per zio Amr.”
“Un amico”, disse Hami, “Soltanto un caro amico a cui ero
affezionato”.
“Ho capito, è tanto tempo che non vedi?”
“Due anni.” Poi, prima che Amr potesse chiedere altro,
aggiunse: “Manca molto a Borgovecchio?”
“Siamo arrivati” disse Amr rallentando e mettendo la
freccia, erano arrivati proprio in quel momento, al bivio: ancora tre
chilometri di curve e avrebbero visto le prime case, poi il cartello di
benvenuto.
Non cercò di insistere, era chiaro che Hami non avesse
voglia di parlare di questo, ed era del tutto normale in fondo.
“Arriviamo presto, ti porto subito alla piazzetta che ti fascio
assasgiare una cosa buonissima.”
Hami sorrise, se Amr lo avesse guardato avrebbe visto in
quel sorriso il sollievo per non dover spiegare altro.
“Che cos’è la piazzetta?”
“Piccola piazza, è dove ci sta forno di zio Amr. Che non è
forno di zio Amr, è forno di Alberto.”
Poi dopo un istante aggiunse
“E si vuoi sapere chi è Alberto ti dico: un amico per il
quale anch’io farei un lungo viaggio per vedere. Persciò zio Amr capisce che
Bologna è meglio di Firenze.”
E, nei pochi minuti che li separavano dalla loro meta, non
ci fu bisogno di aggiungere altro.
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