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domenica 11 ottobre 2020

Il mio nome

La Liggera era mio nonno

quindi in realtà io sono "ju nipote 'e la Liggera". Così mi dicevano le "vecchie" del paese di mia madre, quando passavo lì quasi tutta l'estate. Forse sarebbe più carino chiamarle "anziane signore" ma per l'epoca e il luogo non renderebbe proprio il senso.

Io me le ricordo tutte un po' come la nonna di Peter, in Heidi, queste "vecchie": lo scialle sulle spalle e le calze corte di lana, anche d'estate. Mio fratello diceva che avevano così tanti peli sulla faccia che sembrava avessero la barba. L'elemento distintivo tra i due sessi erano, quindi, i baffi: se avevano anche quelli erano... donne, ovvio, perché gli uomini almeno si radevano. 

Mi chiamavano, io mi avvicinavo e loro domandavano: "A chi sci ju fiju?" Mi avevano fatto talmente tante volte quella domanda che anche da piccolo conoscevo la risposta corretta: "Sono il figlio di Teresa, la sorella di Ninetta". 

Potevo averglielo detto il giorno prima ma loro immancabilmente sembravano meravigliate, si aprivano in un sorriso ed esclamavano: "Ma allora tu sci ju nipote 'e La Liggera!"

Quando ero più piccolino,

pensavo che La Liggera fosse mia nonna, e che forse volevano, in quel modo, prenderla in giro per il suo peso eccessivo. Poi mia madre mi spiegò che non si trattava di lei ma di mio nonno e che non si riferivano al peso ma ad uno stato dell'anima: mio nonno lo chiamavano così perché prendeva la vita con leggerezza. 

Ora, farlo in situazioni normali già non è semplice, farlo durante la guerra tra un bombardamento e una imboscata, deve essere una cosa talmente incredibile che ti fa guadagnare la stima e l'ammirazione di chi ti sta intorno. Almeno così era accaduto a mio nonno. 

Le "anziane e barbute signore" sembrava avessero ancora gli occhi innamorati quando ti raccontavano che dopo aver sentito un colpo di fucile in lontananza più forte degli altri, subito pensavano alla Liggera, che dopo qualche minuto rientrava in paese con un paio di lepri. Quando cacciare significava mangiare.

Se oggi sono fatto così,

non dico bene o male, lo devo senz'altro a mio padre e mia madre. Per conto mio li ringrazio con tutto il cuore e so di non averlo fatto mai di persona, e non credo leggeranno mai questo articoletto. Tuttavia, un paio di cose sento proprio di averle prese da mio nonno: questa leggerezza di fondo che accompagna tutta la mia vita, e la capacità di non lamentarmi mai.

Quando ero piccolo ero "molto" piccolo: un trenta per cento in meno dei miei compagni, diciamo che ero in saldo. Era facile, quindi, per i miei coetanei prendere il sopravvento su di me. Oggi chiameremmo "bullismo" l'atteggiamento che alcuni avevano nei miei confronti. Nonno mi disse, con molta naturalezza: "Se reve' a piagne t'engu l'are".

Se ritorni a piangere ti do l’altre!

Mi sembra abbastanza chiaro no? 

Avrò avuto forse otto anni quando mi ha detto questa cosa ma per qualche ragione mi è rimasta attaccata e ha segnato la mia vita. 

Intanto gli anni passavano

e io e mio nonno partivamo l'estate per tornare, io e lui, soli, al suo paese. Io avevo diciotto, venti anni, lui quasi ottanta. Ci sedevamo fuori sotto il portico, dopo mangiato. Io, spingendo con i piedi sul muretto di pietra, mi dondolavo sulla sedia, lui la cavalcava, con le braccia conserte sulla spalliera a sostenere il mento. Nonno fumava la pipa, io una "Lucky Strike", che era sempre lui a comprare, ne aveva un armadio pieno. E tra le nuvole di fumo mi raccontava.

Della guerra, dei partigiani, e poi di quando andava a caccia col suo cane che si chiamava Febo, e ti sorprende questo nome preso dalla mitologia, ma ancora di più ti sorprendi ricordando che citava alcuni passi dell'Orlando furioso a memoria, lui che forse sapeva scrivere solo il suo nome. 

E poi parlava di quando "faceva l'amore" con nonna, o del suo vecchio amico e compare morto durante l'ultimo inverno. Ne parlava sempre a suo modo, ricordando imprese comuni, e se gli chiedevi com'era morto ti rispondeva: "Pe' mancanza de fiatu".

Ti raccontava di quando lavorava nelle gallerie che oggi attraversano gli appennini e faceva esplodere le cariche di dinamite, o delle bravate fatte per punire qualche prepotente. Lo so che nel ricordo tutto diventa un romanzo e i protagonisti della storia diventano eroi o cattivi, ma non ci vedo niente di male in questo. La Liggera era, ed è, il mio Eroe Perfetto!

Poi un inverno se n'è andato anche lui. 

Per mancanza di fiato. 

Poco tempo dopo, in un cassetto della casa del paese, ritrovai l'apribottiglie della foto. Era quello che io e lui usavamo in quelle estati. Lo presi deciso ad usarlo come portachiavi.

All'epoca stavo cercando casa. Sapete come si chiama il paese dell'Abruzzo in cui oggi riposa mio nonno? Cese. Sapete dove trovai casa io? Via Le Cese.   


La Liggera

5 commenti:

  1. Che bell'omaggio che hai fatto a tuo nonno! Mi ha fatto pensare una volta di più a come i nostri avi ne avessero viste di ogni, fossero "abituati" a traumi e avvenimenti pazzeschi e avevano una forza incredibile per affrontarli e superarli.
    Veramente da prendere a ispirazione la leggerezza con cui tuo nonno prendeva le cose.

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  2. Ma grazie a te per il bel commento. Come hai visto sono agli inizi e mi ha fatto veramente piacere. Essere leggeri e non superficiali, per me è la chiave di tutto. Grazie

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  3. Impossibile non lasciare un commento dopo aver letto un articolo così.
    Sarà perché l'argomento "nonni" smuove sempre qualcosa dentro, ma sei riuscito ad essere commovente, divertente, coinvolgente, leggero (non a caso)... insomma... estremamente piacevole! Tanto che l'ho letto più di una volta.
    Mi hai lasciato un "dolce magone".
    Continuerò certamente a passare di qui.

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  4. Grazie mille Arturito. Non so se sono riuscito a rendere davvero tutto questo, certo che ho provato un po' tutte queste cose scrivendolo.
    Grazie

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  5. Che storia...qualcosa di scritto che fa scendere le lacrime quando lo leggi...direi che non è da tutti.

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