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sabato 17 ottobre 2020

TRALUMMESCURO

BALLATA PER UN PAESE AL TRAMONTO

Tralummescuro” era dialetto, quando tutti parlavano dialetto, e lo traduci con “all’imbrunire”, ma senti che non è la stessa cosa[…] Tralummescuro è la luce, il chiarore (la lumme) che sta per diventare buio, la notte (lo scuro) e di notte, alora, era scuro davera 

Ho chiuso ieri l’ultima pagina di questo romanzo di Francesco Guccini,  Tralummescuro, ballata per un paese al tramonto 

Per me, che ho sempre amato Guccini, non è stata una sorpresa il piacere che ho provato nel leggerlo: è un romanzo che fa sorridere, che a tratti commuove, che ti trasporta in un tempo che non c’è più. Finalista dell'ultimo premio Campiello, apprezzato dalla critica e dai comuni lettori, che forse comuni non sono mai.

L’ho letto lentamente,

a piccole dosi, come se stessi ascoltando un paio di sue canzoni, non di più. Centellinandone la lettura, per far sì che non finisse troppo presto e per coglierne tutta la dolcezza malinconica, senza correre il rischio che mi stancasse. Un po’ come quando rubi due cucchiaini di nutella dalla dispensa: ci faresti il bagno, ti ci affogheresti, ma ti limiti perché sai che potrebbe farti male e poi se esageri perderebbe anche il gusto. 

Ecco quindi che, un capitolo alla volta, o anche solo poche pagine, ascolti il vecchio Francesco parlare della sua Pavana, dell’estate, degli animali, del fiume, del mulino e via andare (per usare una sua espressione).

Lo ascolti perché, almeno per me, è stato impossibile leggerlo senza sentire la sua voce ascoltata in tanti concerti, tra una canzone e l’altra. Solo un po’ più stanca, perché lo hai visto, in recenti interviste, e ti fa un po’ strano vedere come il tempo passi inesorabile.

Non ho gli anni di Guccini,

ma passavo le estati in montagna, in Abruzzo, da bambino, anni Settanta-Ottanta. Sembra passato un secolo e quasi mi spaventa pensare che quegli anni siano più vicini agli anni Cinquanta di cui si narra che al nostro Duemilaventi. 

Non è passato un secolo dalla mia “fanciullezza” ma quasi mezzo sì, cacchio! E per questo, età e ambientazione, ho sentito questo libro molto vicino, ho provato anch’io un po' di quella malinconia.

Che non è nostalgia: lo ha detto anche lui in una intervista, che a quei tempi si stava peggio, e non siamo onesti con noi stessi quando diciamo il contrario.

‘Na volta, d’inverno, be’, ti lavavi il giusto. Quando proprio cominciavi a fètere di rumadgo c’era la complessa operazione del bagno. Già dovevi cambiarti la maglia, il ché poteva essere doloroso perché la maglia di lana di peggora, fatta a mano coi ferri da solerti antenate, bucava e provocava rose (“spiura” nella città della Motta, “scadore” a Cittanova, te che sai le lingue) ed eritemi difficilmente sopportabili, verodio, dopo quel po’ che la portavi l’avevi domata ma dovevi ricominciare da zero”

Ho aperto una pagina a caso, per davvero, e ne ho copiato una parte, eppure, anche in queste poche righe c’è tutta l’atmosfera del libro : l’ironia, la nostalgia, il tono e il linguaggio. (non mi viene di chiamarlo romanzo, forse dovrei chiamarla appunto “ballata”, come suggerisce, d’altra parte, il titolo stesso)

Il dialetto

non è mai buttato lì a caso, c’è una ricerca filologica, un’attenzione all’etimologia della parola, alla sua derivazione, se più toscana o emiliana. Guccini è uno che studia e che sa come spiegarti le cose. A poche persone come a lui si addice il termine Maestro. Non a caso in appendice trovate un dizionario: "Voci del testo chiarite al popolo". Anche questo gustoso, da spulciare, redatto con la consueta ironia. Un esempio:

pinzare: pungere d'insetti. Da ragazzi per l'autore era normale essere pinzati almeno tre o quattro volte da una maledetta vrespa (vedi). Toscanismo

Note di Viaggio volume 2

In questi giorni è uscito “Note di Viaggio capitolo 2”. Una raccolta di sue canzoni scelte da Mauro Pagani e assegnate a grandi interpreti e cantautori, un omaggio a Francesco Guccini che segue a distanza di un anno il primo volume, chiamato “astutamente” (direbbe lui) Note di viaggio capitolo 1. 

Bellissime anche le interviste con i vari interpreti (Mannoia, Mahmood, Levante, Zucchero, Capossela ecc), andatele a vedere se ve le siete perse.

Insomma, ho riascoltato per caso “Culodritto”, reinterpretata da Levante, e ad un tratto penso di aver capito il tipo di sentimento che pervade “Tralummescuro”: non una nostalgia per i tempi andati, non un semplicistico "si stava meglio quando si stava peggio", piuttosto, semplicemente, il ricordo di una società che non c'è più e soprattutto di un'età, quella dei bambini che hanno "tutto ancora da sbagliare".

Leggete il testo della canzone

“Ma come vorrei avere i tuoi occhi, spalancati sul mondo come carte assorbenti

e le tue risate pulite e piene, quasi senza rimorsi o pentimenti,

ma come vorrei avere da guardare ancora tutto come i libri da sfogliare

e avere ancora tutto, o quasi tutto, da provare...” 


C'è da aggiungere altro?

Voi lo avete già letto? o vi ho fatto passare la voglia?

Liggera


2 commenti:

  1. Non conosco benissimo Guccini e non sapevo neanche che avesse scritto un libro, ma mi è decisamente venuta voglia di leggerlo!

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  2. Ne ha scritti moltissimi, in realtà. Da solo o insieme a Loriano Macchiavelli. Tutti bellissimi per me. Grazie, come sempre.

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